Sono molti i paradisiaci su questa terra, e ho avuto la fortuna di visitarne diversi. Luoghi magici, incantati, che ti lasciano quel senso di pace e quiete nel cuore, capaci di assopire i pensieri e di far addormentare il cuore con una dolce ninna nanna di bellezza. I colori vividi, i suoni leggeri, e i profumi inebrianti ti avvolgono in un abbraccio che sembra durare per l’eternità.
Tutto questo potrebbe sembrare soggettivo, ma c'è un Paese sulla Terra che è, di fatto e oggettivamente, quel giardino incantato di cui tanto abbiamo sentito parlare quando eravamo bambini. Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, dove la natura regna sovrana e dove la modernità è solo un sussurro lontano, quasi impercettibile. L'Eden esiste, e si trova nel regno del Lesotho.
Il Lesotho è un piccolo regno montuoso incastonato nel cuore del Sudafrica. Conosciuto come il "Regno nel Cielo", si trova a un’altitudine media di 1400 metri sul livello del mare, rendendolo uno dei paesi più alti del mondo. Questo altopiano verdeggiante è popolato da circa due milioni di persone, la maggior parte delle quali appartiene alla tribù Basotho, un popolo fiero e accogliente, con una storia antica e radicata.
I Basotho parlano una lingua melodica e ricca, il sesotho, che sembra quasi cantare quando viene pronunciata. La loro vita è semplice, scandita dal ritmo delle stagioni e dalle necessità della pastorizia, che rappresenta la principale attività economica del paese. La modernità qui si manifesta con parsimonia, e solo nelle città principali, come Maseru, la capitale, si può intravedere qualche segno di urbanizzazione. Ma il cuore del Lesotho batte forte nelle sue montagne, nelle sue valli incontaminate e nei suoi villaggi remoti, dove il tempo sembra scorrere con una lentezza d'altri tempi.
Il mio viaggio nel Lesotho è iniziato con un'avventura già dal momento in cui ho lasciato Maseru. Dopo aver percorso un tratto di strada asfaltata, io e la mia guida, Mpho, ci siamo inoltrati su una strada sterrata che sembrava non finire mai. Mpho, un uomo di mezza età con una risata contagiosa e un'infinita passione per il suo paese, mi raccontava storie affascinanti lungo il percorso. La sua voce, carica di emozione e orgoglio, dava vita a ogni parola, dipingendo davanti ai miei occhi un affresco vivente del Lesotho.
Il viaggio è durato circa un'ora, ma il tempo sembrava sospeso. Mpho mi parlava della sua infanzia passata tra queste montagne, della sua famiglia e delle tradizioni che i Basotho custodiscono gelosamente. Mi raccontava della semplicità della vita nei villaggi, dell'importanza della comunità, e del profondo rispetto che il suo popolo ha per la natura. Nonostante la strada fosse accidentata e impegnativa, Mpho non ha mai smesso di sorridere. Per lui, ogni curva, ogni salita, ogni masso superato era un motivo di gioia, un’opportunità per condividere un pezzo del suo mondo con me.
Quando finalmente siamo arrivati al lodge, situato su un altopiano che dominava una valle incantata, il sole stava calando, tingendo il cielo di sfumature rosate e dorate. Ero esausto, ma il panorama che mi si presentava davanti era così meraviglioso che ogni stanchezza è svanita in un istante. Davanti a me si apriva un giardino dell’Eden, un paesaggio che sembrava uscito da un sogno. I prati erano un mare verde smeraldo, punteggiato qua e là da fiori selvatici di ogni colore. Il fiume che scorreva placido in fondo alla valle rifletteva il cielo infuocato, creando un effetto quasi surreale. Mpho mi sorrise e disse semplicemente: "Benvenuto nel vero Lesotho."
Il giorno seguente, il sole si alzava pigro all'orizzonte, tingendo di luce dorata le cime delle montagne. Il canto degli uccelli e il fruscio delle foglie mi svegliarono dolcemente, preparandomi per una giornata che non avrei mai dimenticato. Mpho mi aveva già presentato Thabo, la mia guida per il trekking a cavallo. Thabo era un giovane uomo dai lineamenti gentili e dallo sguardo luminoso, con una risata che poteva sciogliere anche il cuore più duro. La sua passione per i cavalli e per la sua terra era evidente in ogni gesto, in ogni parola.
Ci mettemmo in marcia di buon mattino, con i cavalli che si muovevano sicuri lungo i sentieri impervi. La natura attorno a noi era selvaggia e incontaminata, e ogni passo ci portava più in profondità in quel paradiso nascosto. La strada era ostile in alcuni tratti, fatta di rocce scivolose e sentieri stretti che si snodavano lungo i pendii ripidi. Ma i cavalli, ben addestrati e abituati a quelle difficoltà, procedevano senza esitazioni, guidati con maestria da Thabo.
Dopo diverse ore di cammino, giungemmo a un fiume che attraversava il nostro percorso. L'acqua era fredda e cristallina, e il guado si presentava come una sfida non da poco. Con Thabo che guidava il suo cavallo con sicurezza, mi feci coraggio e seguii il suo esempio. L'acqua arrivava fino a metà del corpo dei cavalli, ma questi avanzarono senza timore, e in pochi minuti ci trovammo sull'altra sponda.
E fu proprio allora, dopo aver superato il fiume, che il paesaggio cambiò improvvisamente, rivelando un panorama che mi tolse il fiato. Davanti a noi si stendeva un vasto prato verdeggiante, intervallato da fiori selvatici che danzavano leggeri al vento. Il fiume, ormai alle nostre spalle, scorreva lentamente, come se anch'esso volesse fermarsi a contemplare quella bellezza senza tempo. Le rocce, scolpite dagli elementi nel corso dei millenni, formavano curiose figure che sembravano raccontare storie antiche. Gli alberi, con i loro rami che si allungavano verso il cielo, parevano voler toccare le nuvole, e l'aria era così leggera e pura che respirarla era un piacere in sé.
Thabo si fermò accanto a me, lasciando che anche io mi prendessi un momento per assaporare quella visione. "Questo è il nostro Eden," disse con un sorriso, come se non fosse necessario aggiungere altro. E aveva ragione. Non c'erano parole che potessero descrivere appieno la magia di quel luogo, la sensazione di essere in armonia con l'universo intero.
Dopo altre ore di cammino, finalmente giungemmo al villaggio di Thabo. Era un piccolo agglomerato di capanne di fango e paglia, situato su un altopiano con una vista mozzafiato sulla valle sottostante. Le persone che vi abitavano sembravano essere state scolpite dal vento e dal sole, con volti che portavano i segni del tempo e delle difficoltà, ma anche della saggezza e della serenità. Nonostante la mia stanchezza, fui accolto con un calore che mi fece subito sentire a casa.
Il capovillaggio, un uomo anziano con una lunga barba bianca e occhi penetranti, venne a salutarmi. Parlavamo lingue diverse, eppure ci capivamo. Le sue parole erano incomprensibili per me, ma il suo sorriso e i suoi gesti parlavano una lingua universale. Passammo del tempo insieme, seduti sotto un grande albero, scambiandoci poche parole, ma molte emozioni. Non ricordo di cosa parlammo, forse non lo sapevo nemmeno allora, ma ricordo il piacere di quella compagnia, la sensazione di essere accettato e accolto senza riserve.
Nel villaggio la vita scorreva con una semplicità disarmante. I bambini correvano e giocavano ovunque, le loro risate riecheggiavano tra le capanne come una dolce melodia. Le donne, forti e instancabili, lavavano i vestiti al fiume, sfregando con energia i tessuti sui massi levigati dall'acqua. C’era una libertà in quelle persone che non avevo mai visto altrove. Non erano legate alle cose materiali, non erano schiave del tempo. La loro unica preoccupazione era prendersi cura del bestiame e della terra, e questo sembrava dare loro una pace interiore che invidiavo.
La sera, mentre il sole calava dietro le montagne, gli abitanti del villaggio si ritiravano nelle loro capanne. I cavalli, lasciati liberi di vagare, non avevano alcuna intenzione di scappare. Erano parte di quella terra, così come lo erano le persone. Prima di ritirarmi per la notte, ebbi l'onore di conoscere la nonna di Thabo, una donna minuta ma dal carisma immenso. Le portai in dono del limoncello e del cioccolato, un piccolo gesto che lei apprezzò immensamente. Ricordo ancora il suo sorriso sdentato mentre addentava il cioccolato con una gioia che mi commosse profondamente. In cambio, mi regalò delle pesche essiccate, frutto del suo lavoro paziente. Non parlavamo la stessa lingua, ma le nostre emozioni erano più che sufficienti per comunicare.
Durante la notte, accadde qualcosa di curioso. Mentre giacevo nella mia tenda, sentii qualcuno entrare furtivamente. Al principio mi spaventai, ma poi capii che non c’era alcun pericolo. Probabilmente era qualcuno che si era smarrito nel buio e si era spaventato trovando la mia tenda. Uscì di corsa, senza fare rumore. Non so chi fosse, e forse non lo scoprirò mai, ma in quel momento capii che non c’era nulla da temere in quel luogo. La gente del Lesotho è buona, gentile e rispettosa, e il male sembra non trovare spazio tra quelle montagne.
Il mattino seguente ci preparavamo per il ritorno. Il sole ancora non si era del tutto levato, ma l’aria era già frizzante e piena di promesse. Salutai la nonna di Thabo e gli altri abitanti del villaggio, con la consapevolezza che stavo lasciando un pezzo del mio cuore in quel luogo.
Il ritorno al lodge fu altrettanto avventuroso. Questa volta, però, io e Thabo avevamo ormai sviluppato una confidenza che ci permise di affrontare il viaggio in maniera più leggera e spensierata. Cavalcavamo ora trottando, ora galoppando, e ogni tanto ci fermavamo per ammirare il paesaggio o per scambiarci qualche parola. Thabo sorrideva sempre, e quando gli chiesi il significato del suo nome, lui rise ancora di più. "Significa sorriso," mi disse, e io capii che non poteva esserci nome più adatto per lui. Thabo era l'incarnazione della gioia di vivere, della connessione profonda con la sua terra e con le sue tradizioni.
Nonostante le otto ore di cavalcata, Thabo non mostrava mai segni di stanchezza. Sembrava che ogni passo del suo cavallo fosse un atto d'amore per la sua terra, una terra che lui conosceva e rispettava come pochi altri. Anche io, che pure non avevo il suo legame ancestrale con il Lesotho, sentivo crescere dentro di me un affetto profondo per quel paese. Ogni respiro dell'aria pura, ogni visione delle montagne maestose, ogni suono della natura mi avvicinava sempre di più a comprendere la bellezza di quel regno nel cielo.
Quando finalmente arrivammo al lodge, il sole stava calando e un velo di malinconia iniziava a posarsi sul mio cuore. Sapevo che il mio tempo in quel paradiso era giunto alla fine, ma portavo con me ricordi ed emozioni che mi avrebbero accompagnato per sempre. Il sorriso di Thabo, la gentilezza della nonna, la bellezza di quei paesaggi senza tempo erano ormai parte di me, e sapevo che un giorno sarei tornato in quel luogo magico, in quel giardino dell'Eden che si nasconde tra le montagne del Lesotho.
L'Eden esiste, e io l'ho trovato nel cuore dell'Africa, in un piccolo regno chiamato Lesotho.